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I Dark UX Pattern e la necessita di definire un’etica

By 29 Giugno 2017Gennaio 2nd, 2024No Comments
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2 minuti

I Dark UX Pattern sono stratagemmi di design che introducono volutamente un elemento di confusione allo scopo di portare l’utente che sta navigando sul nostro sito e-commerce nella direzione a noi desiderata contro la volontà dell’e-shopper.

Rappresentano una branca del persuasive design e della psicologia cognitiva ed indicano tutte le strategie che vengono applicate nella progettazione delle interfacce di navigazione in modo tale da indurre gli utenti a compiere determinate azioni in modo inconsapevole.

In italia si fanno sempre più acquisti online, i consumatori trovano prezzi più convenienti e servizi più veloci, ma non è sempre “TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA”.

Negli ultimi tempi, infatti, sono stati scoperti dei siti e-commerce progettati per destabilizzare gli acquisti degli utenti. Grazie all’uso di particolari interfacce grafiche questi siti  portavano le persone a compiere delle azioni predeterminate. Fondamentalmente questi e-commerce oltre a vendere i prodotti puntavano a convincere l’utente ad attivare servizi aggiuntivi e piani in abbonamento.

Questo nuovo trend è stato approfondito attraverso una survey online fatta dall’accademia Poli.design, l’agenzia GreatPixel e la società di consulenza Personalive che l’hanno  sottoposta ad un campione di 1.000 utenti, rappresentativi di oltre 11 milioni di italiani heavy user di e-commerce, per indagare come gli utenti affrontano la presenza o l’assenza di dark pattern durante la loro esperienza di navigazione e se valutano queste pratiche più o meno invadenti.

 In estrema sintesi, è emerso che il 95% degli utenti intervistati ha dichiarato di aver incontrato i dark pattern, avendo vissuto esperienze digitali ad essi assimilabili. E il 30% ha ammesso che la reputazione del sito è peggiorata molto, dopo queste esperienze.

L’83% degli utenti rinuncia alla fruizione di un contenuto se la navigazione è ‘infastidita’, l’85% dichiara di aver incontrato una fake news e il 32% di aver adottato ‘difese’ contro gli ostacoli alla navigazione, come gli ad blocker.

Dopo aver misurato la loro diffusione, la ricerca ha provato a rispondere anche alla domanda se conviene, per un sito, adottare queste pratiche. Le reazioni dei consumatori danno una risposta che non lascia molto spazio a interpretazioni. Interrogati sull’Opt-out trick, la pratica che induce l’utente all’aggiunta inconsapevole di opzioni accessorie, o alla sottoscrizione di newsletter (ma anche al consenso al trattamento dati), quasi un intervistato su tre dichiara che “l’esperienza mi ha dato fastidio e non ho più utilizzato il sito” (28%); seguono coloro che dichiarano di essere stati infastiditi, e di aver prestato più attenzione in occasione dell’acquisto successivo (45%).

Per il 23% la reputazione del sito “è molto peggiorata”, mentre per il 48% è “lievemente peggiorata”. La percentuale di abbandono aumenta nel caso del Fast-forward trick, dove consumatore è spinto al pagamento involontario di somme di denaro per via di un click su un pulsante simile (per forma, colore o posizione nella schermata) ad altri che nei passaggi precedenti non richiedevano un pagamento: il 42% di chi lo incontra dichiara di non aver più usato l’applicazione in questione.  Anche la perdita di reputazione è più netta in questo caso: “molto peggiorata” per il 48% delle risposte.

I risultati ci fanno capire che cercare di persuadere l’e-shopper è lecito ma  sono chi lo fa senza trucchi o inganni nel lungo periodo viene ripagato dalla fedeltà del cliente e da conseguente brand reputation alta. Anche nell’e-commerce ci vuole un’etica.

Fonte: Accademia Poli.design, l’agenzia GreatPixel e la società di consulenza Personalive